sabato 5 maggio 2012

Hell on Wheels, dal selvaggio West alla Fiat di Melfi

   Qualche settimana fa ho seguito un incontro a Napoli, sulla Fiat e sui diritti dei lavoratori. Tra gli ospiti c'era anche Giovanni Barozzino, uno degli operai della fabbrica di Melfi che erano stati licenziati nel 2010 per un presunto sabotaggio.
   Barozzino su quella vicenda ha scritto anche un libro e, raccontandola, disse che quando venne licenziato con l'accusa di essere un sabotatore della fabbrica: ''Mi sentii - disse - come se una mattina qualcuno si fosse svegliato e avesse deciso chi io dovevo essere''.  Quella frase mi restò non so perchè impressa e mi è tornata alla mente qualche giormo fa, quando mi sono guardato il quinto episodio della prima stagione di Hell on Wheels. Il capo del cantiere per la costruzione della ferrovia litiga con uno degli operai negri e per dirimere la questione viene ordinato loro di sfidarsi in un match di pugilato. I due accettano, ma alcuni neri vogliono dissuadere il loro compagno dal battersi: ''Se vinci i bianchi ti massacreranno lo stesso'', gli dicono. E lui, il personaggio di Elam, interpretato dal rapper Common, gli risponde: ''Per tutta la vita qualcun altro ha deciso chi io fossi. Da ragazzo avevano deciso che ero uno schiavo. Dopo la guerra hanno deciso che ero un  operaio, questa è l'unica occasione che ho per decidere chi sono''.
   La coincidenza è la riprova della qualità di Hell on Wheels, serie che la Amc ha già annunciato di aver rinnovato per una seconda stagione dopo i dieci episodi della prima. La storia è quelal di un ex soldato sudista che dopo la fine della guerra di Secessione cerca di trovare i soldati nordisti che massacrarono sua moglie. L'uomo finisce nel cantiere della ferrovia e ne diventa il capo. La serie funziona, sia per la verosimiglianza della cornice (il fango che domina incontrastato sulla scena e sporca tutto e tutti) sia per l'obiettività con cui tratta il tema dell'invasione da parte dei bianchi, del loro ''inferno su ruote'', ma anche della loro religione, nel territorio degli indiani. 
   E alla fine gli si perdona pure il protagonista, un tizio belloccio che si chiama Anson Mount e che sembra aver mandato a memoria gli spaghetti western di Leone, quelli in cui Clint Eastwood, di cui Anson non ha però lo spessore, aveva solo due espressioni: una col sigaro e una senza sigaro. 


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